Festa dei Ceri - Gubbio 15 Maggio

La Famiglia dei Santantoniari e la Chiesa

La chiesa di San Giovanni Decollato diventa sede della “Famiglia dei Santantoniari” nel 1974 e continua ad avere questa destinazione d’uso fino al 1979, anno in cui il Consiglio delibera di trasferire la sede presso i locali del palazzo del Capitano del Popolo.
Nel 1975 per la prima volta, e dal 1978 ufficialmente, viene celebrata la festa di Sant’Antonio Abate (17 gennaio) con una messa pomeridiana nella chiesa dei Neri. Al termine della funzione religiosa la banda musicale cittadina sfilerà in corteo sino alla piazzetta di S. Antonio dove saranno offerte castagnole, frappe e vino ai simpatizzanti e ai ceratoli di S. Antonio (delibera consiliare del 9 gennaio 1978).
Nel 1980 viene firmato dal Presidente della “Famiglia dei Santantoniari” (Luigi Balducci) e dal Vescovo di Gubbio (Cesare Pagani) un contratto di comodato della durata di quattro anni, che prevede l’uso gratuito della chiesa dei Neri a scopo di culto.
Il 16 luglio 1992 viene stipulato un atto notarile di donazione alla “Famiglia dei Santantoniari” della chiesa di San Giovanni Decollato alle seguenti condizioni:
1. L’immobile dovrà essere in perpetuo destinato a rimanere chiesa;
2. Si dovrà provvedere alla conservazione delle opere d’arte e degli arredi sacri descritti nell’inventario;
3. Vigerà l’esclusione di celebrare nella chiesa matrimoni, battesimi ed altri atti di culto.

San Giovanni Decollato fa parte della schiera di edifìci posti tra la chiesa di Santa Maria Nuova e l’attuale via Dante. La facciata risulta dunque affiancata da due fabbricati rispetto ai quali si differenzia per alcuni elementi architettonici (il portale, il tetto a due spioventi longitudinali, il sovrastante campanile).Il portale in arenaria (la cosiddetta pietra palombina), architravato e sormontato da un sovrapporta lunettato con elegante grata di ferro, reca l’iscrizione VE.BLIS SOCIETAS MISERICORDIAE, intramezzata da una croce trilobata in leggero rilievo. Già prima del 1619 – come abbiamo visto – i documenti ricordano un’inscrittione fatta da essa Fraternità sopra la porta della Sua Chiesa con esplicito riferimento al titolo di Misericordia.Simile al portale per forma e materiale, seppure di dimensioni minori, risulta la porta che dava accesso alla sacrestia della chiesa, situata a lato dell’ingresso principale. I vani a cui si accede dal n. civ. 72, come quelli posti sopra la volta della chiesa (a cui appartengono le due finestre visibili in facciata), sono oggi di proprietà privata. Sopra l’arco del lunettone è appeso uno stemma a cartella con l’antico emblema dei disciplinati: una croce trifogliata circondata da sei simboli tra cui il flagello e un chiodo. Uno stemma simile, seppure attualmente privo dei simboli circostanti alla croce, si può vedere sopra la porta dell’edificio che fiancheggia la chiesa eugubina di Sant’Agostino. Si traila di una testimonianza senz’altro anteriore a quella dei Neri, così come anteriore dovrebbe essere pure l’emblema inserito nella facciata della chiesa della Santissima Trinità, che mostra qualche analogia con il nostro. Nella facciata dell’edificio che fiancheggia la chiesa dei Neri era murata, fino alla fine degli anni Settanta, una lapide scolpita in bassorilievo, recante al centro una coppa con la testa del Battista ed ai lati le parole SOCIETAS MISERICORDI/E. Una riproduzione grafica di questo manufatto, eseguila all’inizio del secolo dalla disegnatrìee inglese Katharine Me Cracken, si trova nel libro di Laura Me Cracken Gubbio past andpresent (1905).Il campanile, in laterizi e merlato, fu ricostruito attorno alla metà del secolo scorso. Ospita ora una sola campana; all’inizio del Novecento ce n’erano invece due, benedette la più grande nel 1700; e l’altra più piccola nel 1854.

La chiesa ha un impianto ad unica navata, con presbiterio sopraelevato di un gradino rispetto al livello pavimentale dell’aula, e separato da essa tramile una balaustra. La lunetta sopra il portale e due finestre poste ai Iati dell’altare maggiore costituiscono le uniche fonti di illuminazione della chiesa. Il soffitto è a volta ribassata nella navata, a vele nel presbiterio. L’arco trionfale reca la scritta INTER NATOS MVL1ERVM NON SURREXIT MAIOR IOANNE BAPTISTA MATTHAR XI*. In corrispondenza della chiave di volta è collocato lo stemma della fraternità, con la testa del Battista posta su di un vassoio. Il pavimento è costituito da elementi in laterizio a forma di rombo disposti secondo uno schema a spina di pesce, oppure accostati a formare file diagonali. Sono presenti delle guide e degli inserti lapidei a forma di stella u sei punte (realizzati, questi ultimi, con conci simili per forma e dimensioni agli elementi in cotto).Oltre all’altare maggiore, ai due altari laterali e al ciclo di telette con la storia del santo titolare (che saranno oggetto di trattazione specifica nei capitoli seguenti), la chiesa conserva al suo interno altri arredi quali il confessionale ligneo posto si lato di sinistra, la bussola nell’ingresso e oggetti di minor pregio.
Due porte simmetriche con piedritti, architrave e timpano curvilineo e spezzato in legno intagliato e dorato, si aprono ; lati dell’altare maggiore e immettono in un piccolo vano retri: stante che ora funge da sacrestia. Anticamente esso era utilizzato come ossario. Al centro della parete di fondo del vano presente una rientranza centinaia di dimensioni abbastanza grandi (altezza circa cm. 275; larghezza circa cm. 155).

Come abbiamo già detto, la prima esplicita menzione del l’altare maggiore della chiesa è reperibile nell’inventario de 1574:
nel altar grande di detta chiesa vi è un quadro de giusta grandezza con la storia dela decolatione de Sangio: batt.a, et nelle faccie a detto altare vi sonno le spalliere de legno con gl’inginocchiatoi. A meno di un’improbabile sostituzione con altra operi all’incirca coeva, dobbiamo ritenere che il dipinto menzionate nell’inventario sia proprio quello ancor oggi presente (seppur con qualche modifica) sull’altare maggiore della chiesa. In esso è infatti rappresentata la Decollazione del Battista: un soldato sta porgendo alla bella Salomè la testa appena recisa di San Giovanni, il cui corpo decapitato, in posizione prona e con le mani giunte in preghiera, è posto tra i due personaggi. Una donna accompagna la figlia di Erodiade; due sgherri armati di alabarda e partigiana chiudono a sinistra la scena. Sullo sfondo si staglia un imponente edificio (forse il palazzo di Erode) ed un antro oscuro (che dovrebbe alludere alla prigione in cui fu rinchiuso il Battista). Ai piedi del soldato visto di tergo è riprodotto, su un concio, lo stemma del presunto committente: un centauro che scocca la freccia, su fondo rosso. L’arme richiama quella della famiglia Minotti, dal cui stemma canonico si differenzia solo per l’assenza del capo d’azzurro carico di una stella d’oro a sei punte. Ricordiamo che un Girolamo del fu Matteo Minotti, nel suo testamento del 20 agosto 1549, lasciò cinque fiorini alla fraternità del Crocifisso dì S. Agostino per l’ornamento del sepolcro da poco realizzato nella chiesa dei Neri. Ancora di maggiore interesse ci sembra la notizia, desunta dal citato inventario del 1574, secondo cui un Matteo Minotti era in quell’anno priore della Fraternità assieme a Vincenzo Damiani.
Potrebbe darsi che proprio sotto il suo priorato sia stata eseguita la Decollazione del Battista. Per questo dipinto viene tradizionalmente proposta un’attribuzione al pittore eugubino Bernardino Brezzi (1573-1617). Se – come risulta probabile – la pala è proprio quella documentata nel 1574, tale riferimento sembra comunque da escludere, a causa di evidenti motivi di discordanza cronologica. Va aggiunto in proposito che un confronto Ira la Decollazione del Battista e le opere certe o attendibili del Brozzi (ne citiamo una per tutte: la Crocifissione di Sant’ Agostino a Cantiano, firmata e datata 1606) evidenzia marcate differenze stilistiche, a sostegno dell’ipotesi avanzata. Tra i pittori locali del tempo, quello il cui stile appare più prossimo a quanto si può vedere nel dipinto in questione, risulta essere Pier Angelo Basili (prime notizie 1567; morto nel 1604), del quale si sta ricostruendo in questi ultimi anni il cor pus figurativo. Rimandano all’arte di tale pittore elementi quali le fisionomie di alcuni personaggi, le pose di profilo e a tre quarti dei volti, certi particolari anatomici o morelliani, le gradazioni chiaroscurali degli incarnati, dettagli delle armature e delle vesti, le “accelerazioni” e le incongruenze prospettiche degli edifici sullo sfondo. Allo stato attuale delle ricerche crediamo che un riferimento dubitativo della Decollazione del Battista al Basili – o comunque al suo entourage – sia tutto sommato quella più probabile. Vanno per giunta evidenziati gli stringenti rapporti con dipinti eugubini del tempo di attribuzione ancora incerta, come la piccola Resurrezione di Lazzaro in Pinacoteca Comunale (erroneamente assegnala qualche anno fa a Virgilio Nucci), nella quale il profilo di Cristo risulta quasi sovrapponibile a quello della nostra Salomè.Già dall’esame visivo del dipinto, risulta palese che la parte inferiore dello stesso, con la croce di canne provvista di cartiglio, è frutto di un’aggiunta posteriore eseguita per allungare il quadro. Tale evidenza trova una definitiva conferma analizzando il retro dell’opera, ove si può agevolmente individuare la parte di tela aggiunta. Sul retro è anche presente un’iscrizione che ricorda il restauro operato sulla Decollazione dal pittore eugubino Gaetano Alessandrini (1825-1904) nel 1865.Si può ipotizzare ragionevolmente che l’ampliamento della tela risalga alla prima metà del secolo XVIII quando, nell’ambito o in conseguenza di una generale trasformazione interna della chiesa, fu deciso anche l’ammodernamento dell’altare maggiore. Esso risulta provvisto ancora oggi dell’ornamento in legno intagliato e dorato settecentesco riconducibile ai lavori citati sopra. La cornice della pala è delimitata lateralmente da due colonne a tortiglione, con vitinei e capitelli compositi, dietro le quali spiccano due “ali” a volute con ghirlande e fogliami. Le colonne sorreggono una trabeazione sulla quale si imposta un timpano spezzato e curvilineo dì coronamento, nel mezzo del quale si alza la cimasa con la Colomba dello Spirito Santo e con la scritta ALTARE PRIVILEGIATVM.
Dulia irascrizione ottocentesca di una ricevuta allora conservata nell’archivio della Confraternita (oggi disperso), sì apprende che tale lavoro venne eseguito, almeno in parte, dall’intagliatore eugubino Domenico Valli (1668-1738):
“Io Domenico Valli ho fallo due colonne riforte tutte intagliate con suoi capitelli ed altri intagli alle parti laterali de l’ornamento dell’aitar maggiore della Compagnia di s. Giovanni decollato e questo per prezzo di scudi 20 moneta romana”.
Il documento non risulta datato, ma deve sicuramente risalire a prima del 1738, anno della morte del Valli.
Un’altra fonte ci permette di stabilire che nel 1739 l’ornamento si trovava in ottimo stato, in quanto fu l’ ultimo loco decenter inauratus.
Non disponiamo di un inequivocabile termine post auem per questi lavori, ma alcuni elementi ci inducono a ipotizzare che essi furono eseguiti negli anni Trenta del Settecento.
Si può supporre che la ridefinizione dell’altare maggiore comportò la collocazione di un Crocifisso nella nicchia ricavata ad hoc dietro il dipinto, che poteva essere calato mediante un apposito meccanismo (ancora funzionante) per rendere visibile, nelle ricorrenze stabilite dalla liturgia, il simulacro di Cristo oppure deporlo in un apposito sepolcro durante la Settimana Santa.
Probabilmente fu allora che il Crocifisso fino a quel momento alloggiato nell’altare a cornu epistulae (ed ivi accompagnato da un retrostante Quadro grande con l’immagine della Pietà) venne trasferito nella nicchia dietro la pala dell’altar maggiore, pala adeguatamente allungata per fungere anche da coperta della statua di Cristo in croce.
In un incavo ricavato sotto la mensa dell’altare maggiore è conservato il simulacro in legno intagliato, dipinto e argentato della testa di San Giovanni Battista posta su di un vassoio. Lo stesso soggetto compare pure tra i girali intagliati e dorati della predella lignea dell’altare.

Come già detto, nella seconda metà del Cinquecento è documentata in chiesa l’esistenza di una sola cappella oltre l’altare maggiore.
Le prime notizie sugli altari laterali di San Giovanni Decollato risalgono al terzo quarto del Seicento.
Non sappiamo con precisione quando e da chi furono realizzati gli ornamenti in stucco dei due altari, che mostrano comunque stringenti analogie di disegno e di mano.
L’impostazione degli ornamenti in stucco riecheggia quella già esaminata dell’altar maggiore: due colonne ritorte ai lati, un timpano spezzalo e curvilineo di coronamento al centro del quale si erge la svettante cimasa.
A parte le differenze di materiale e di tecnica, le uniche rilevanti discrepanze rispetto all’ornato ligneo consistono nella presenza di un arco a pieno centro al posto della trabeazione e di figure in rilievo di angioletti che popolano il timpano e la cimasa. Questi inserti plastici costituiscono gli elementi che differenziano reciprocamente i due altari: in quello a cornu evangeli! un angioletto centrale regge la croce che gli altri attorno stanno adorando; in quello a cornu epistulae i due angioletti posti davanti la cimasa reggono la Veronica, mentre i due sul timpano hanno in mano il martello e le tenaglie.
Al centro dei paliotti dei due altari (parzialmente marmorizzali) compaiono rispettivamente la corona di spine, con la lancia e la spugna incrociate, e la zifera mariana con sotto il cuore. Non sono stati reperiti documenti che ci consentano di stabilire con esattezza quando questi ornati in stucco vennero eseguiti e da chi. Allo stato attuale delle conoscenze possiamo soltanto ipotizzare una datazione tra la fine del Seicento e la prima metà del secolo successivo.

Dalle Visite Pastorali apprendiamo come questo altare fosse dedicato, almeno a partire da poco dopo la metà del Seicento, al Santissimo Crocifisso.
È immediato il richiamo all’antico titolo della Confraternita dei Disciplinati del Crocifisso di Sant’Agostino. Va pure ricordato che un Cristo Crocifisso di rilievo è documentato durante il XVI secolo – come abbiamo già detto nel Sepolcro annesso alla chiesa dei Neri,
A partire dal 1748 circa l’altare di destra, pur mantenendo invariato il titolo, ospita l’icona della Madonna della Misericordia (che ricorda uno dei titoli storici del sodalizio eugubino). Nel 1824 viene menzionato come Altare della Madonna. Un’immagine mariana è ricordata nel medesimo luogo ancora nel 1856. Nella guida di Gubbio di Oderigi Lucarelli, risalente al 1888, sì menziona addirittura un quadro raffigurante La Vergine con Gesù, copia da Pompeo Baioni. Il dipinto è documentato ancora in loco nel 1972, quando viene schedato e fotografato dalla Soprintendenza BAAAS dell’Umbria. Nella scheda si ricorda che la tela misura cm. 79×59, è provvista di cornice lignea dorata e si trova in buone condizioni di conservazione.
Come gentilmente ci informa Don Mauro Salciarini, il quadro attualmente si trova nel Seminario Diocesano di Gubbio.
L’iconografia è quella diffusissima della Madonna delle Misericordia, che nel Settecento ha una particolare fortuna anche nel nostro territorio, come tra l’altro dimostra il casi famoso della Madonna della Misericordia nella collegiata d Canti ano, opera eseguita nel 1737 da Gaetano Lapis.
Dell’ipotetico trasferimento del Crocifisso nella nicchia dell’altar maggiore della chiesa, forse durante gli anni Treni del Settecento, abbiamo già parlato in precedenza. Resta d dire che con autorizzazione del Soprintendente BAAAS de: l’Umbria in data 14 gennaio 1994 si è proceduto allo sposti mento del simulacro dall’altar maggiore all’altare a cornu ep sìnice, dove è ora conservato,
Il Crocifisso dei Neri non è stato finora oggetto di studi specifici. La prudenza, d’obbligo in casi di tal genere, impone che prima di esprimere un qualsiasi parere riguardo a questo tipo di manufatti, si debba procedere a un’adeguata opera i ricognizione e di restauro. In prima approssimazione ci sembra. comunque possibile che il Crocifisso sia quello ospitato f dalla prima metà del Settecento nell’apposito incavo crea dietro l’altare maggiore (e forse esposto precedentemente si l’altare dì destra).
Il simulacro di Cristo risulta inchiodato su di una croce ci tanto di titulus e di splendori dorati. Il corpo di Gesù, in legno ricoperto di gesso e dipinto, era cinto ai fianchi da un perizoma di stoffa recentemente asportato per rendere visibile un precedente panno solidale con la statua del Crocifìsso. Il capo,nimbato risulta provvisto della corona di spine.
Il Crocifisso dei Neri è caratterizzato dalla particolarità avere le braccia articolate con giunture non a vista. I chiodi e lo fissano alla Croce sono inoltre sfilabili. Da ciò si può si porre come esso fosse in origine destinato a quelle pratiche devozionali, tipiche della settimana santa e documentate anche nelle confraternite eugubine (si vedano i casi delle confraternite di Santa Maria dei Laici e di Santa Croce della Foce), che prevedevano sia l’adorazione del Cristo morto con trasferimento del simulacro dalla croce in altro luogo più accessibile ai fedeli e simulante il sepolcro, sia il trasporto della statua in processione.
Ricordiamo come il mistero della passione di Gesù Cristo fosse rappresentato, a partire dalla metà del Cinquecento, nel Sepolcro sottostante la chiesa dei Neri.

I documenti ricordano che questo altare, nella seconda metà del Seicento, era dedicato alla Deposizione, titolo che rimanda alla principale opera di misericordia propria della Confraternita dei Neri (oltre all’assistenza ai carcerati e ai condannati), vale a dire il seppellimento dei morti.
Solo a partire dalla fine del secolo XVTT esso è menzionato come Altare quod Ecce Homo Mìsterium re presentai. Questo secondo titolo risulta mantenuto fino ai nostri giorni.
Allo stato attuale non possiamo determinare con sicurezza quale immagine fosse posta sopra l’altare di sinistra quando esso era intitolato alla Deposizione. Sappiamo però che il 6 marzo 1572 venne stipulato un contratto tra i priori della Confraternita dei Neri ed il pittore eugubino Felice Damiani per la realizzazione di un palio dipinto da una banda con tutti quelli misteri che si ricercano et circostante quando il Nostro Signore fu levato eli croce, da l’altra banda con li misteri quando Nostro Signore fu sepellito con tulle le solite opere della misericordia. Il Damiani si impegnò a terminare l’opera entro un anno per il prezzo di 40 scudi correnti.
Dal più volte citato inventario della Confraternita risalente al 1574 ricaviamo che, allora, i palli del sodalizio venivano conservati in sacrestia, compreso quello da portare in processione depinto da ogni Canto di giusta grandezza fatto a Olio, finito atorno de legname recipiente a detta opera orato da ogni banda il detto ornamento, nel qitai palio vi è depinto da Un canto la ScaviHatione o depositione de la croce del nostro S.or yh.it Xpo, da l’altro canto vi è la storia delle sette opere de la misericordia con li finimenti da portar detto palio. Non si può escludere del tutto che posteriormente almeno il palio della Deposizione sìa stato sistemato nell’altare che aveva appunto questo titolo, per poi essere di nuovo traspostato in sacrestia (dove ancora lo vide Luigi Bonfatti verso la metà dell’Ottocento).Almeno dal 1694 risulta documentata nell’altare dì sinistra VIcona in tela depicta cum Mi.sterio Ecce Homo che ancora oggi è visibile in loco. Si tratta del noto lavoro eseguito nel 1597 dal pittore eugubino Federico Brunori (1566-1649), che rappresenta la sua prima opera documentata, lodata fin dai tempi dell’abate Luigi Lanzi (il quale, a proposito di questo “Ecce Homo” mostrato al popolo, parla di figure picciole, ma, prontissime e che mostrano di aver lui profittato de’ rami di Alberto Duro).
La pala, centinaia, tratta il soggetto in maniera narrativa e sostanzialmente conforme all’iconografia tardo cinquecentesca dell’ Ecce Homo. Sulla scalea semicircolare dinnanzi al portico del pretorio dì Gerusalemme, accompagnato da due soldati, si trova Gesù in posizione stante, con il corpo coperto soltanto dal perizoma e dal manto di porpora posato sulle sue spalle.
Ha la corona di spine sul capo, i polsi incrociati e legati con una fune, e regge la canna a mo’ di scettro. Alla sua destra è visibile Ponzio Filato in atto di indicare il Nazareno, illustrando cosi con un gesto le proprie parole Ecco l’uomo! Tutta attorno, nella piazza antistante e sul balcone in primo piano, una folla rumorosa agita mani e braccia per schernire Gesù Cristo e invocarne la crocifissione.
La scena è ambientata in una vasta piazza delimitata in lontananza da edifici tipicamente cinquecenteschi. Sullo sfondo s’intravedono le figurine della Madonna, delle pie donne e di San Giovanni, e un gruppo di uomini, soldati e sacerdoti in mezzo al quale svetta la croce. La firma del pittore e la data sono apposte su un cartìglio visibile alla base del quadro (Federìgus Brunor.s eugubinus pingebat 7597).
Ecce Homo si può considerare una delle opere principali del Brunori, l’unica in grado di documentare adeguatamente la fase iniziale del suo percorso artistico. Preannuncia esiti futuri del pittore nella caratterizzazione dei personaggi e nella resa di uno spazio urbano in cui idealizzazione e concretezza appaiono indissolubilmente legate; ma anche per l’acribia descrittiva e per la verità delle molte figure, picciole e prontissime, che quindici anni dopo popoleranno un’altra piazza immaginaria, quella rappresentata dal Brunori nel noto lunettone con San Francesco e il Lupo nella sala dell’udienza del Palazzo dei Consoli. Offre inoltre l’opportunità per approfondire il problema della formazione del pittore il quale, oltre ad appoggiarsi all’arte eugubina del tardo Cinquecento (in particolare Pier Angelo Basili, Felice Damiani, Giovanni Maria Baldassini), mostra marcati contatti con l’opera di artisti marchigiani, soprattutto di Èrcole Ramazzani di Rocca Contrada (oggi Arcevia), da cui il Brunori sembra ricavare anche certe espressioni e pose dei personaggi in primo piano nel quadro dei Neri (si vedano, per confronto, quelle dei numerosi astanti dell’ Immacolata Concezione e l’Albero del Bene e de! Male nella cappella Paribcrti in San Francesco a Matelica, firmata da Ramazzani e datata 1573).
In considerazione del precedente titolo dell’altare a coni evangeli!, siamo portati a immaginare una diversa ubicazioni dell’ Ecce Homo prima della fine del Seicento. Potrebbe dar; che esso si trovasse in origine nella rientranza centinata presente sulla parete di fondo del vano retrostante all’altar maggiore, avente dimensioni compatibili con quelle della pala. Ricordiamo infine che Federico Brunori il 24 novembre 159 fu pagato dai Neri con grossi diece per comprare il colore per il quadro che fa per la Fraternità, come risulta da un documento, ora perduto, trascritto nel secolo scorso da Luigi Bonfatti.

In seguito al restauro già effettuato, negli anni scolastici 1982-1983 / 1984-1985, presso il corso per la conservazione e la manutenzione dei beni culturali dell’Istituto Statale d’Arte di Gubbio, delle venti storiette con episodi della vita di San Giovanni Battista conservate sulle pareti laterali della chiesa, il Presidente della Famiglia nell’ottobre del 1992 chiede al soprintendente BAAAS dell’Umbria l’autorizzazione a restaurare gli arredi lignei che fanno da cornice a detti quadri. Il restauro di questo complesso ornamentale viene deliberato dal Consiglio nel luglio del 1995. Il 20 settembre dello stesso anno il Soprintendente BAAAS dell’Umbria autorizza pure il restauro dei due altari laterali in stucco. L’intervento viene sponsorizzato dalla Telecom Italia. Al già nominato corso per la conservazione e la manutenzione dei beni culturali dell’Istituto Statale d’Arte è affidato il restauro del dipinto posto sopra l’altare maggiore della chiesa; alla ditta Rest.Art. di Paola Battellini il restauro dei due altari laterali; alla ditta Fratelli Minelli il restauro dell’ornamento ligneo delle storiette di San Giovanni Battista.
La ”Famiglia dei Santantoniari” ha provveduto inoltre al consolidamento del complesso architettonico con interventi strutturali e nel 1995-’96 a importanti opere murarie per la riattazione della chiesa. Il 15 gennaio 2009 e stato presentato il restauro dell’altare maggiore della Chiesa di San Giovani Decollato detta dei Neri. Ma non ci siamo riusciti da soli. Il debito di gratitudine è grande e lo riconosciamo pubblicamente, perché oltre ai nostri risparmi la Fondazione della Cassa di Risparmio di Perugia è intervenuta generosamente siamo riusciti ad arrivare in fondo. Dobbiamo anche ringraziare altri che hanno dato una bella spallata al nostro lavoro. La Diocesi, e in particolare Paolo Salciarini; la ditta Ikuvium, del nostro santantoniaro Roberto Fofi che ha effettuato con consueta sapienza e abilità il restauro, Romeo Marcelli, sempre disponibile, e le maestranze tutte, nonché quelli che in silenzio, in modi diversi hanno contribuito a tutto questo. Abbiamo restituiamo alla città questo piccolo capolavoro consapevoli di avere messo una cosa al suo posto giusto, di avergli ridato qualcosa che era dovuto. L’abbiamo fatto con la solita passione, e consapevoli che queste attività sono la parte essenziale del nostro agire anche come Famiglia ceraiola, che assicura il futuro nella nostra civiltà conservandone i valori e le memorie.

Cenni Storici

L’edificio che attualmente ospita la chiesa di San Giovanni Decollato faceva parte dei beni della Confraternita dei Disciplinati del Crocifisso di Sant’Agostino. Tale confraternita può considerarsi una delle più antiche di Gobbio, risultando documentata a partire dalla seconda metà del XIII secolo (si veda, a questo riguardo, il documento II riportato in appendice).
Nel 1504, in previsione della costituzione del Monastero della Santissima Trinità, i confratelli vendono quasi tutti i loro beni alle Terziarie Francescane, ad eccezione di alcune proprietà affacciale – a quanto si comprende – sull’attuale via Savelli Della Porta nelle vicinanze delia chiesa di Santa Maria Nuova. In questo luogo i Disciplinati erigono, in forma semplice e ridotta, la loro nuova chiesa. La prima notizia finora re questo edificio di culto risale al 1508, quando all’intei chiesa della fraternità dei Disciplinati di Sant’Agosti: stipulato un atto notarile con il quale sono restituiti a: lelli, per volontà del Duca di Urbino, dei beni immob: spettanti. Ufficialmente la chiesa constructa fuit aa 1509. Nel 1546 l’edificio sacro viene ampliato: per tale necessario raggiungere un accordo con le monache d< nante Monastero della Santissima Trinità. Nel docur dice che i confratelli intendent erigere elevati et in ali lere quemdam sacelìwn in caput Ecclesie ipsorum. Nel 1547 è documentata la recente costruzione di u ero ad onore di Gesù Cristo per la commemorazione e passione. Due anni dopo sono venduti alcuni beni prò diete fraternitatìs (…) et prò misterio passioniti in dictt sia fabriccmdo. Per la prima volta in un documento e fraternità viene ricordata con l’appellativo della miser È presente all’atto, in qualità di testimone, lo scultore : no maestro Ferino di Marco.
Nello stesso 1549 vengono eseguiti altri lavori, però alla casa della fraternità.
Un esplicito riferimento al titolo di Misericordia ( zione alle funzioni svolte dalla confraternita) Io abbiam nel 1556. quando i confratelli nominano un procurai aggregare la loro società ali’Are i confraterni la di San G Decollato in Roma al fine di ottenere le indulgenze, i f e le immunità godute dal sodalizio romano. Dal documento veniamo a sapere quali fossero le pr finalità della fraternità cugubina: assistere i poveri, i car gli afflitti; accompagnare i condannati al supplizio cai confortarli. Risale al 1574 un importantissimo inventario della fraternità del Crocifìsso di S. Agostino nuncupata de la misericordia (che riportiamo integralmente in appendice – documento I). Da esso tra l’altro apprendiamo che:
1. la chiesa era provvista di copertura a volta ed aveva il sepolcro et sacrestia presso all’altare grande con una capella all’intrare della detta ghie sa pur in volta’,
2. sopra la (…) chiesa, appresso et acanto (…) sonno te case della detta fraternità’,
3. nel aitar grande di detta ghiesa vi è un quadro de giusta grandezza con la storia deìa decolatione de Sangio: batt.a;
4. la delta ghiesa ha il suo campanile di poca grandezza con una campana piccola.
Un documento del 1585, per il momento di incerta interpretazione, sembra testimoniare la richiesta di reìntegro, da parte dei confratelli eugubini, nell’Arciconfraternita di San Giovanni Decollato di Roma, in quanto erano stati revocati al sodalizio di Gubbio alcuni indulti, privilegi ed indulgenze precedentemente concessi.

Secondo il Lucarelli nel 1591 è inaugurata la nuova chiesa di San Giovanni Decollato. Al 18 agosto 1596 risale il diploma di aggregazione ufficiale alTArciconfraternita romana. Alla fine del Cinquecento e all’inizio del secolo successivo vanno datati i principali lavori di ornamentazione della chiesa, in parte realizzati, come vedremo, tra il 1597 e il 1605.
Per tutto il XVI secolo sono documentati tra i membri della fraternità artisti locali. Particolarmente nutrita è la schiera dei vasai (Picrrosato Floris, Vittorio di Filippo detto il Prestino, Mattia di Pietro di Traverso ed altri fìguli appartenenti alla stessa famiglia); non mancano i pittori (Felice Damiani è priore nel 1587).
Attorno al 1619, negli atti di una causa promossa dalla compagnia della Misericordia della Santissima Trinità, si trov una memoria dalla quale risulta che la confraternita dì Sa Giovanni Decollato attendeva allora solamente al governo del prigioni che non hanno con che sostentarsi, che possa esse quotidianamente duo, o tre, quattro, sei o dieci al più. Si chie de che il Duca deliberi circa l’uso del titolo di Compagni della Misericordia che novellamente si ha preso la Fraterni! di S. Giovanni Decollato e sull’opportunità di lasciare Fiscr zìone, fatta da essa Fraternità sopra la porta del/a Sua Chiesa
Nel 1807 la confraternita, volendo costruire una sepoltui per gli Impiccandi nella zona retrostante all’aitar maggioì della chiesa, raggiunge un accordo con la collegiata di Sani Cristina (a cui allora spettava la chiesa dì Santa Maria Nuova i terreni adiacenti) per la delimitazione delle loro proprietà.
Da una comunicazione della confraternita dei Neri trasme sa al Comune di Gubbio nel 1864 si possono ricavare numeri se informazioni sulla storia del sodalizio eugubino (si veda testo completo in appendice – documento II).
La compagnia risulta ancora attiva nel 1842, seppure cosi tinta da pochi confratelli.
Nel 1933 la Confraternita dei Neri viene posta con reg decreto alle dirette dipendenze dell’Autorità Ecclesiastica cc come previsto dal Concordalo del 1929.
Il primo aprile 1949 il vescovo di Gubbio Beniamino Ub; di nomina monsignor Origene Rogar! rettore della chiesa San Giovanni Decollato e commissario della Confraternita.
Il 6 marzo 1950 monsignor Rogari, per conto della Confi temila, vende a Ciro Colonnì tre vani adiacenti alla chiesa, cui uno un tempo adibito a sacrestia e due uso corndu All’atto è allegata la planimetria catastale della chiesa e dei locali venduti.

Le Storiette della Vita di San Giovanni Battista

Sulle pareti laterali della chiesa, per la maggior parte inse rite entro cornici lignee disposte in sequenza provviste d cimasa con iscrizione, si trovano venti telette con raffigurazioni relative ai principali episodi della vita di San Giovanni Battista.
I dipinti, databili ai primi anni del Seicento, sono pervenuti in una disposizione diversa da quella originaria, e conseguenti alle trasformazioni operate all’interno della chiesa nel corsi del tempo. La realizzazione dei due altari laterali in stucco comportò lo scompaginamento in quelle parti della chiesa de ciclo pittorico in esame. Alcune storiette furono allora cambia te di posto, e successivamente collocate sulle pareti del presbiterio.
Sappiamo da un documento trascritto nel secolo scorso (il cui originale è andato perduto), che nel 1605 l’intagliatore eugubino Tarquinìo Pulicani realizzò per la Confraternita della Misericordia detta dei Neri gli ornamenti di otto quadri secondo il disegno del pittore Virgilio Nucci, e ne ebbe in pagamento 54 fiorini. Dovrebbe proprio trattarsi di alcune delle cornici delle Storie della vita di San Giovanni Battista. Il documento è importante per più motivi. Da esso emerge il ruolo determinante che ebbe Virgilio Nucci in questa impresa, coerentemente con quanto si può dedurre dall’altro unico documento finora rintracciato sulle storiette, risalente al 12 aprile 1604 e pubblicato nel secolo scorso da Luigi Benfatti:
M.o Virgilio Nucci deve dare fiorini dodece, quali aveva avuto lui a buon conto del pegnere che aveva a fare nella nostra Fraternità, quali fiorini 12 sud. i promette renderli a state prossima senza eccezione alcuna dico fiorini 12.
Ha fatto il pruno quadretto che vi è deperito s. Simone per li sud.i fiorini 12 pero e cassa. (In realtà dovrebbe trattarsi di Zaccaria a cui appare l’angelo, personaggio erroneamente identificato con San Simone dall’anonimo estensore della nota contabile). Inoltre il pagamento del 1605 ci permette di appurare che vennero consegnate contemporaneamente otto cornici, le quali potrebbero corrispondere all’intera ornamentazione allora prevista per una delle due pareti della navata, in sintonia con quanto si può ancora oggi ricavare dall’esame diretto della carpenteria e, più in generale, dell’opera lignea. Infatti la maggior parte delle venti telette con le storie della vita del Battista erano in origine inchiodate, senza telaio, su tavole di legno accostate a formare un corpo unitario esteso all’intera parete della chiesa (che poteva ospitare otto o tutt’al più – in considerazione della lunghezza della parete – nove storiette). Su questa struttura vennero applicate le cornici delle singole tele e realizzati direttamente alcuni inserti (ad esempio quelli decorativi delle lesene, dipinti sulle tavole con una leggera imprimitura). Ciascuno dei due supporti (uno sul lato a cornu epistulae, l’altro su quello a cornu evangelii) fu successivamente suddiviso in due porzioni, la prima con quattro storiette e la seconda con tre. Questo per permettere l’inserimento, verso la metà delle pareti, dei due altari in stucco, la presenza dei quali comportò l’estromissione dal ciclo di due o tutto al più di quattro storielle. Queste ultime, assieme ad altre di incerta provenienza, furono sistemate sulle pareti laterali del presbiterio. L’esame congiunto dei rari documenti pervenutici e del complesso decorativo (pur nell’attuale stato di conservazione), ci consente di ipotizzare che le storielle con la vita di San Giovanni Baltìsta furono eseguite e sistemate al loro posto in tempi relativamente brevi. In considerazione di ciò si può spiegare la vistosa differenza di mani che contraddistingue tale impresa: il ricorso ad artisti diversi sembra essere una delle conseguenze di questo affrettato procedere. Fatto che non si verifica in altri cicli consimili realizzati a Gubbio, a partire da quello eseguito proprio in quegli anni nella chiesa di Santa Maria dei Laici. Le storie della vita della Vergine dei Bianchi si devono a Felice Damiani con il concorso, forse, della sua bottega. Manifestano una stretta uniformità stilistica, resa possibile dai tempi più lunghi previsti per il compimento dell’opera (dal 1601 al 1614). Ecco i soggetti delle venti telette (tra parentesi viene riportata la relativa iscrizione di cimasa, nei casi in cui è ancora presente)

I soggetti delle 20 tele

  1. L’annuncio della nascita di San Giovanni (ELISABETH PARIETTIBl FILIVM);
  2. La visitazione (EXVLTAVITINFANS IN VTERO);
  3. La nascita di San Giovanni (ELISABETH PEPERITF/L/VM);
  4. La circoncisione dì San Giovanni (VENERUNT CIRCVNCIOERE PVERVM);
  5. L’imposizione del nome (fOANNES EST NOMEN El\iscrizione ricostruita su base fotografica) (compari stemma del presunto donatore, siglato G.T.);
  6. La strage degli innocenti (HERODES IRATVS OCChO.ES PVEROS – iscrizione ricostruita su base fotograf(compare lo stemma del presunto donatore);
  7. La fuga di Zaccaria ed Elisabetta sul fiume con San Cvanni bambino;
  8. La morte di Elisabetta e San Giovanni nutrito dagli unge
  9. San Giovanni visitato nel deserto (IOA. IN DESER PRAEDICAT PENI.ENTIA.);
  10. La predicazione di San Giovanni;
  11. San Giovanni battezza la moltitudine;
  12. San Giovanni indica Gesù Cristo alla folla (ECCE AGh DEI – iscrizione ricostruita su base fotografica);
  13. San Giovanni si inginocchia al cospetto di Cristo;
  14. Il battesimo di Gesù Cristo;
  15. San Giovanni condanna Erode (NON L1CET TIBI HAI VX. FR.IS TVI);
  16. San Giovanni a colloquio con i fedeli dal carcere (RENI C1ATE IO. QUAE AVDIST1S ET VIDISTIS);
  17. La danza di Salomè (REX AIT PVELLE PETE A ME Q VIS);
  18. La decapitazione di San Giovanni (REX PRAECEf ADFERRI CAPVTIO.);
  19. Salomè offre la testa di San Giovanni a Erodiade (ATÌ UT CAPVT EIVS IN DISCO);
  20. San Giovanni deposto nel sepolcro (POSVERVNT ILL IN MONVMENTO)